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La Corte di Cassazione, sez. lavoro, n. 26143 del 21 novembre 2013, ha affermato la legittimità di un provvedimento di licenziamento disciplinare adottato da un’azienda ospedaliera nei confronti di un lavoratore (un dirigente medico) che, violando il principio di riservatezza, aveva registrato le conversazioni di colleghi, senza che gli stessi ne fossero a conoscenza, pur se tale condotta era finalizzata a provare una situazione di mobbing, rivelatasi, tra l'altro, infondata. L'uomo, infatti, era stato accusato di aver registrato brani di conversazione di numerosi suoi colleghi senza che questi ne fossero a conoscenza, violando dunque il loro diritto alla riservatezza, per poi utilizzarli in sede giudiziaria, a supporto di una denuncia per mobbing che egli stesso aveva presentato nei confronti del primario.

La sentenza in esame in particolare afferma che il contegno assunto dal lavoratore integra “una evidente violazione del diritto alla riservatezza dei suoi colleghi, avendo registrato e diffuso le loro conversazioni intrattenute in un ambito strettamente lavorativo alla presenza del primario ed anche nei loro momenti privati svoltisi negli spogliatoi o nei locali di comune frequentazione, utilizzandole strumentalmente per una denunzia di mobbing, rivelatasi, tra l'altro, infondata.

Sempre più spesso si usa registrare le conversazioni nel tentativo di precostituirsi prove e tutelare i propri diritti, complice anche la facilità con cui tutto ciò è reso possibile dai moderni mezzi tecnologici. Basta adoperare il cellulare, lo smartphone, il tablet che ormai ognuno di noi ha abitualmente fra le mani per registrare una conversazione.

Per comprendere quali siano i confini fra la liceità e l’illiceità di tale condotta occorre fare alcuni chiarimenti.

Innanzitutto bisogna distinguere una registrazione fatta da un privato dall’intercettazione. Ebbene, vi è innanzitutto una distinzione sostanziale: le intercettazioni possono essere disposte solo dal Giudice con un provvedimento motivato che le autorizza e in tal caso è evidente che tutti i soggetti captati sono all’oscuro di essere registrati. Al contrario, le normali registrazioni di conversazioni tra presenti sono eseguite da un privato, di sua spontanea iniziativa, senza che occorra una previa autorizzazione del giudice e, quindi, la registrazione è effettuata nei riguardi di uno o più soggetti ignari, mentre colui che registra ne è certamente consapevole. Il loro valore probatorio è evidentemente differente, sicché il Giudice nella sua capacità discrezionale sarà tenuto comunque a valutare l’attendibilità del contenuto della registrazione.

Vi è poi una valenza di liceità o meno. È lecito infatti registrare una conversazione tra presenti purché essa non avvenga tra le mura della privata dimora del soggetto registrato ignaro. Infatti, se la registrazione avviene nella dimora del soggetto registrato, all’oscuro di ciò, oppure in altro luogo privato di pertinenza dello stesso (per esempio, l’abitazione del compagno), la registrazione costituisce addirittura reato. L’ art. 615 bis cod. pen., rubricato sotto il titolo di “illecita interferenza nell’altrui vita privata” dispone: “Chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo. I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio , con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato”. Attenzione però: colui che è parte attiva di una conversazione è sempre abilitato a registrarla, in quanto il reato presuppone che a registrare la conversazione sia un terzo.

In sintesi, la registrazione tra presenti è illegittima, nella dimora del registrato, solo se a effettuare la registrazione sia un terzo. Al contrario, è sempre lecita la registrazione all’interno dell’abitazione del soggetto registrante oppure in qualsiasi luogo di pertinenza dello stesso (ad esempio all’interno della propria automobile) o ancora in una pubblica via o all’interno di un esercizio pubblico. In tali casi, infatti, non vi sono reati che attengono alla lesione della privacy. Secondo la Cassazione n. 18908 del 13.05.2011, infatti, “chi dialoga accetta il rischio che la conversazione sia registrata”.

La diffusione della registrazione non può avvenire tuttavia in modo indiscriminato, poiché altrimenti si pone il reato di lesione della altrui privacy previsto dall’art. 167 d.lgs. n. 196/2003. Può avvenire solo in due casi: a) se c’è il consenso dell’interessato; b) se avviene con lo scopo di tutelare un proprio o un altrui diritto. E in tali saci ha un valore probatorio differente a seconda che essa sia adoperata nel processo civile o in quello penale.

Nel primo caso, l’efficacia di prova che tali registrazioni hanno è molto limitata. In primo luogo, per poter utilizzare una registrazione in processo e farla acquisire agli atti, è necessario che il suo contenuto venga trascritto da un consulente tecnico nominato dal giudice e, in secondo luogo, essa costituisce prova solo a condizione che la parte contro cui essa è prodotta non la contesti espressamente. Se dunque la controparte disconosce che i fatti che tali riproduzioni vogliano provare e contesta che tali fatti siano realmente accaduti con le modalità risultanti dalle stesse, la registrazione non vale più come prova.

Nel processo penale le cose sono ben differenti: chi voglia ottenere la punizione di un altro soggetto, colpevole di aver commesso un reato, oppure dimostrare in un processo, in cui egli stesso è parte, una determinata circostanza, può utilizzare la registrazione eseguita, anche da altri nel suo interesse, e presentarla al giudice penale. All’interno del processo penale, la registrazione costituisce prova documentale e pertanto è liberamente valutabile dal giudice. All’interno del processo penale, la registrazione costituisce prova documentale e pertanto è liberamente valutabile dal giudice. Non è necessario, inoltre, che la registrazione allegata alla querela o prodotta al Pubblico Ministero da parte dell’indagato o della persona offesa (o dai rispettivi difensori) nel corso delle indagini, in qualsiasi momento venga trascritta da un esperto (consulente) poiché è la stessa registrazione ossia il nastro o l’apparecchio sul quale è impressa che costituisce la prova documentale. Saranno il Pubblico Ministero oppure il Tribunale a nominare – solo eventualmente – un consulente, nel primo caso, un perito, nel secondo, per procedere alla trascrizione (sbobinamento) di quanto in essa contenuto.

 

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